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“Guarda come viene babbo!”

 

“No, non piove mica tanto.”

 

“Ma se la strada riflette! E guarda il passo delle persone. Puoi capire quanto piove dal passo delle persone”

 

Il babbo guardò pensieroso fuori dalla finestra. “Fidati che ho visto di peggio a Novembre. Se ti siedi ti racconto uno storia.”

 

“Che storia?”

 

“Quella dell’Arno che una mattina si levò dal letto.”

 

“Aspetta un attimo finisco qui…” ticchettando sulla tastiera mentre stava tutto gobbo appoggiato alla parete. “Vai, ci sono. Ma dev’essere una storia ganza.”

 

“Bravo posa quel coso. Ti piacerà. Parla di un bambino come te, un bambino contento come tutti quei bambini che non possono andare a scuola.”

 

“Già mi piace!”

 

“In realtà i miei genitori ci provarono in tutti i modi a mandarmi. Per non bagnarmi la testa mi avvolsero la cesta di riccioli neri dentro un telone impermeabile color pelle di rana. Poi mi infilarono le galosce ai piedi…ma fu inutile.”

 

“Perché fu inutile babbo?”

 

“Perché pioveva da giorni, non come adesso. Il cielo era denso e turbinava. Se allungavi la mano in aria potevi strizzare una nuvola come fosse una spugna!”

 

“Davvero?” gli chiese incredulo.

 

Il babbo sorrise. “Ci dissero che l’Arno una mattina si era levato dal letto e aveva invaso la città. In realtà non importava ce lo dicessero perché soltanto nella nostra strada avevamo almeno un venti centimetri d’acqua. Le scuole erano tutte chiuse”

 

“Venti centimetri sono quanto…quanto la stazione di polizia Lego!” e si allungò fiero verso i suoi mattoncini colorati, lustrando e accarezzando i preziosissimi spigoli incastrati gli uni sopra gli altri. Non riusciva a stare con le mani in mano per più di trenta secondi. Afferrò due figurini e li collocò all’interno della costruzione. “Almeno potevate stare protetti in casa, come noi adesso.”

 

“Non era così scontato. Adesso l’acqua piove normalmente dal cielo, allora l’acqua arrivava come ti ho detto dalle strade, dalle vie, dai giardini dappertutto. Le pareti non riescono a fermare l’acqua quando ti circonda. Pensa, mio babbo e suo fratello riesumarono dalla cantina una pesante lastra di marmo e la murarono davanti all’ingresso, nella speranza che almeno in casa si potesse rimanere all’asciutto. Funzionò per poche ore. Poi prima di pranzo verso mezzogiorno trovammo una grossa pozza in salotto: Lei stava cercando di entrare dal pavimento del lato che dava sul campo, pesantemente allagato. Nel pomeriggio avevamo mezzo metro di fiume a farci compagnia.”

 

“Così tanta acqua in casa, chissà la mamma quanto stava male! Ecco perché si lamenta quando entro tutto zuppo senza asciugarmi le scarpe.”

 

“E fa bene.” Rispose deciso il babbo. “Ma non era questa casa, allora non conoscevo mamma. Quel novembre eravamo solo due bambini ignari l’uno dell’altro. Io abitavo in una traversa di via Baracca, a Peretola, nell’ultima villetta a schiera della strada.” Si schiarì la voce. “La fortuna di avere due piani ci permise di spostare i mobili di legno al piano superiore, mentre gli elettrodomestici di valore, tipo la lavatrice e il frigorifero furono caricati in fretta e furia sul tavolo di cucina. C’era una grande agitazione quel giorno ed era davvero difficile muoversi…”

 

“Scusa ma non ti annoiavi a stare bloccato nei paraggi?” Senza alzare lo sguardo dalle sue creazioni.

 

“Affatto! Era tutto nuovo per me. Gli adulti avevano paura, paura che l’acqua potesse salire ancora, che potesse portar via con sé ogni cosa nostra. La paura significava protezione, significava un arginare, un fare a pugni con il fiume per ricacciarlo da dove era venuto. Guarda che anche io avevo paura. Solo che…Dalla finestra di camera mia si vedeva il campo della fattoria, terra di nessuno per noi bambini: era un acquitrino. Avevo un mondo allagato sotto il mio controllo. Nei residui di tronchi annegati ci vedevo un branco di ippopotami irrequieti, pronti allo slancio con i loro testoni lucidi, pronti all’attacco…e mi sentivo al sicuro dall’alto. Come dimenticare poi la sequenza di scoppio delle fogne…via via che si alzava l’acqua, la pressione aumentava facendo saltare il coperchio dei tombini con un sonoro –POP-. E li faceva saltare in fila eh, prima nella corte della nostra casa e poi in quella dei vicini…

 

“Come gli effetti speciali di Spielberg!” disse mentre mimava geyser immaginari con le mani colme di mattoncini.

 

“Esattamente, proprio come in un set cinematografico. Ora però arriva il brutto.” Un paio di occhi scuri si incollarono ferrei sul babbo.

 

“A novembre non fa proprio caldo: le persone avevano bisogno di scaldarsi e nelle case non c’era il sistema di riscaldamento che abbiamo oggi. Avevano le stufe. Noi ci affidavamo alla Varmonnin’, in inglese Warm Morning credo, una vecchia stufetta a carbone e legna, anche se la maggior parte della gente adoperava stufe di ultimo modello a cherosene…una specie di benzina. Il problema era che l’acqua penetrando nelle fognature e nei depositi di carburante interrati sotto le case, formava la morchia. Immagina quale sostanza nauseabonda e corrosiva poteva nascere mischiando l’acqua melmosa dell’Arno con un derivato del petrolio altamente infiammabile: una cosa estremamente brutta. Le macchine in strada venivano letteralmente consumate dalla morsa della morchia e anche una volta che l’acqua era calata, toccava buttare via tutto. Sapevo dello zio di un caro amico…Stefano, hai presente Stefano?”

 

“Mmhm…Quel tipo alto con i baffi?”

 

“Si proprio lui. Ecco suo zio era un autista dell’Ataf, una di quelle persone lige al proprio dovere ma con abbastanza sale in zucca da non esserlo fino in fondo.

 

Ecco, quando cominciò ad allagarsi tutto, l’azienda intimò agli autisti di riportare velocemente i mezzi al deposito. Ma lui aveva intuito che data la sua collocazione piuttosto bassa rispetto al fiume, il deposito sarebbe diventato una sorta di cimitero per carrozzerie corrose. E l’Ataf praticamente una ditta di sfasciacarrozze…oddio quell’uomo l’aveva vista lunga…Insomma, decise in solitario di parcheggiare il suo autobus verso via del Ponte Grande, che era un po’ più in alto rispetto al fiume, salvandolo così dalla morchia. Quella roba era veramente brutta da vicino oltre che nociva … quando ci passavi nel mezzo poi, con le galosce, rivelava tutta la sua consistenza rivoltante. Eppure pensa che dalla finestra di casa la scoria paonazza della morchia acquistava la forma di un lungo serpente scintillante, un serpente frammentato in tanti piccoli serpentelli ripiegati su se stessi a seconda della direzione in cui lo guardavi…Io me la ricordo anche così, ma credo che non siano in molti a ricordarla così.”

 

“Trovavi il bello in tutto quel brutto…” Sospirò.

 

“Trovavo quello che un bambino come te può trovarci. Quando è libera, l’immaginazione guida l’esperienza. Ma come ti ho detto, non ero perso nel mio mondo.Il disagio toccava anche me, lo posso ricordare bene. Non avevamo la corrente elettrica in quei giorni e quando calava la sera eravamo costretti ad usare le candele.Di notte prendevo il moccolino che tenevo spento accanto al letto e lo accendevo con i cerini, al terzo tentativo. Poi in punta di piedi, di soppiatto perché mamma non voleva, mi mettevo disteso a pancia in giù sul penultimo gradino della tromba delle scale, sistemavo il moccolo al gradino inferiore e allungavo la testa quasi a sporgere dalla ringhiera. Correvo questo rischio per ascoltare l’acqua sciabordare all’ingresso: c’era tutto un fiume che si muoveva là sotto! C’era un filo di luce tremolante e c’ero io tutto rannicchiato ed era surreale. Quanto lo era a ripensarci…anche se la scena più surreale, senza dubbio grottesca, ce la regalò nonno Lilli.

 

“Chi è nonno Lilli?”

 

“Sarebbe il tuo bisnonno. Lo tenevamo in casa con noi perché era arteriosclerotico poveretto…morì poco tempo dopo. La mattina vedendo il campo e le strade e le fogne e le corti e le case gonfie d’acqua, rimase senza parole. In compenso passò ai fatti. Sì, pensò bene di rimanere coerente con il paesaggio slacciandosi la vestaglia e mollando beatamente un rivo giallastro proprio giù dalla terrazza. Mah. Chissà cosa passava davvero nella mente di quel povero matto davanti ad un mondo allagato…Forse pensava che fosse arrivata la fine e che tanto valeva avere la vescica vuota prima di mettersi in coda, oppure non troppo diversamente da me, forse provava a fargli il verso…da una distanza di sicurezza e con una sonora pisciata. Faceva il verso a quello che per diversi giorni è stato un mondo sovvertito…regno di pazzi e di eroi e di ignoranti e di bambini.”

 

Finalmente si staccò dai giocattoli per finire attaccato alle gambe del babbo. “Che storia ganza! Babbo però non smette di piovere…”

 

“Smetterà, fidati che smetterà…Smette sempre.” Gli rispose accarezzandogli i capelli.

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