Ben Frost – The Wasp Factory (reposted from Tsinoshi Bar)

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Un producer di musica elettronica può essere un compositore sperimentale? Può essere in grado di parlare entrambe le lingue senza distorcerle, facendole sembrare una lingua sola e soprattutto restando comprensibile? Il nuovo lavoro di Ben Frost può suggerire qualcosa a riguardo

Forte delle uscite di “Theory of Machine” (2007), “By the Throath” (2010) e “Aurora” (2014), Il trentasettenne australiano trapiantato a Reykjavík si cimenta adesso nella trasposizione musicata di una pièce teatrale, gettando le sue pennellate artiche sopra quel sempiterno affresco di Musica & Parole.

“The Wasp Factory” si può tranquillamente definire un’opera contemporanea trasferita su supporto digitale, con tanto di orchestra (la Reykjavík Sinfonia) e librettista (David Pountney). 

Eppure all’apertura del sipario, una zavorra acustica può scoraggiare anche l’ascoltare più allenato. Bisogna premettere che questo non è un album da poter ascoltare mentre si sfoglia una rivista o si prepara una presentazione, ma che richiede un certo impegno nell’ascolto e una certa immersione nella storia. 

Perché qui la musica racconta davvero una storia: per chi non lo sapesse, “The Wasp Factory” (in italiano, “La fabbrica degli orrori) è il titolo di un romanzo del 1984 di Iain Banks. Il libro narra le vicende di Frank Cauldhame, un adolescente psicopatico e misogino che vive su una minuscola isola scozzese ed escogita omicidi rituali di bambini ed animali. 

La trasposizione di Frost e Pountney sceglie di scardinare la linea narrativa di Banks e quindi di dissipare il monologo del protagonista in una serie di voci femminili, mantenendo però tutta una serie di elementi dell’opera originaria: una Scozia dimenticata, violenta e primitiva. Un cielo plumbeo e un mare detestato. Un diciassettenne omicida. 

Non è difficile capire che l’inquietudine di un disturbato mentale sia la cappa emotiva che torreggia su tutta l’ultima creatura di Frost, una sorta di Lars Von Trier che approccia al pentagramma o di Macbeth con i sintetizzatori. Per quanto Ben Frost ne richiami forse il format e le atmosfere, siamo invece lontani per stile e soluzioni da quel “Tales from mistery and imagination” del 1976, il concept album di debutto degli Alan Parson Project.

La prima traccia strizza l’occhio a quel filone spoken word che ultimamente conosce un discreto interesse nell’ambito delle performance multimediali; il mantra scandito dalle voci si amalgama bene alla pasta stridulante dei micro-rumori e agli affondi elettronici (“Blyth”, “My Greatest Enemies Are Women And Sea”); le sezioni di archi sono caustiche (“To Be Mastered, The World Must Be Named”, “What Happened To Me”) e certi intrecci vocali rimangono pregevoli (“You Don’t Have To Sleep”, “Esmeralda”). 

La qualità del lavoro si sente, ma sono necessarie alcune considerazioni. 

Da una parte, l’ascolto di “The Wasp Factory” permette di cogliere la sinestesia dei suoni che costruiscono lo sfondo scenico e di penetrare un dramma inscenato in un’ambientazione elettro-acustica, sporca e sovraccaricata come la testa del protagonista. Anzi “The Wasp Factory” è la testa di Frank, cioè quel luogo incorporeo dove vengono rappresentate sul nascere tutte le sue follie perverse: l’ascoltatore ci cade dentro, rimanendone inviluppato. 

Dall’altra, l’assenza di una componente visiva pesa un po’ sul giudizio finale…perché rende il tutto piuttosto difficile da capire. Storia diversa sarebbe poter assistere dal vivo al “The Wasp Factory Show” ascoltando in sottofondo l’orchestra e il live electronics: ne uscirebbe sicuramente un’esperienza estetica più completa (e comprensibile). 

Sebbene molte tracce siano streganti per l’evento sonoro che viene ricreato, nel complesso la musica corre il rischio di non essere assimilate adeguatamente, o rischia addirittura di rimanere a volte un lamento incessante che si spera possa finire presto. Sono le ragioni per cui un groviglio di dubbi e sentimenti contrastanti permane persino dopo l’ennesimo ascolto, forse non tanto per la qualità del contenuto quanto per la forma della sua presentazione, forma che rischia di rendere “The Wasp Factory” apprezzabile soltanto dai lettori del romanzo di Banks o dai fedeli di Frost.

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