Il decimo album di Scott Monteith, aka Deadbeat, è carico di vicende e valenze personali. L’artista canadese ma attivo a Berlino ha infatti maturato un anno denso di esperienze positive e negative: il lungo viaggio in Cile prima, il tragico evento della morte del padre poi. Esperienze forti e capaci di trasformare chiunque, esperienze solubili unicamente in musica.
Perché secondo Monteith stesso “la musica offre una singolare opportunità di catarsi al di là di ogni parola scritta”. E ciò che ha avuto inizio come un esercizio quotidiano, si è trasformato presto in uno spazio contemplativo virtuale dal nome di “Walls and Dimentions”. Album che nella sua configurazione strutturale sfrutta l’A side e il B side del vinile: due parti quindi, una prima costituita da un’unica lunga traccia ricca di soundscapes e droni, una seconda che spinge di techno e comprende due tracce voluminose.
Prima parte molto curiosa ma anche coraggiosa: Deadbeat non è roba da poter ascoltare mentre si beve comodi il caffè ecco, richiede una seppur minima dedizione. Questo perché è un mixato di soundscapes che procede per quaranta minuti, un intervallo temporale comunque interessante e non uniforme. Infatti, le fasi di espansione e contrazione tra i vari layers degli ambienti sonori disegnano come un sottile movimento che tiene in carreggiata la mente.
La seconda sezione è costruita in un perfetto equilibrio tra ossessione e distacco: via via che ci addentriamo nell’ascolto di “I get low” si avverte la sensazione di lasciarsi il mondo intero alle spalle. Viene così giustificata l’immutabilità del pattern ritmico, vero e proprio perno della traccia su cui tutti gli elementi scorrono, eccedono e tornano infine ad equilibrarsi.
In un gioco di spazi trasparenti e pad velati prende forma “Rage against the light”: la selezione dei suoni e il loro ingresso è pregevole, così anche le strutture dilatate e i giri chilometrici funzionano alla grande. Alla luce tutto sembra quieto e passivo ma in profondità è scatenato e vivo; tutto appare dormiente e invece è inquieto, nervoso, vivo. E’ il pensiero dell’artista che rimbomba tra le valli andine così come fulmina lungo le anse della corteccia cerebrale.
Release astratta e concettuale quella di Deadbeat, ma non per questo esente d’intensità e soprattutto di una propria identità. Questa techno che danza con l’ambient impone purtroppo un’apnea nell’ascolto, per cui pazienza e cuffie alla mano (indispensabili per cogliere tutte le sfumature ipnotiche). Sconsigliata vivamente per chi cerca il drop della traccia dopo i due canonici minuti.
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