Sotto la spinta del musicista e producer Squarepusher (Tom Jenkinson) prende forma la band degli Shobaleader One: l’obiettivo è quello di conferire una veste strumentale ai suoi brani classici, collezionati in più di venti anni di fruttuosa attività, oltre che creare una situazione più interessante dove dare sfoggio al proprio talento strumentale.
Intorno al basso di Jenkinson si raduna così un terzetto funambolico di turnisti dai nomi d’arte accattivanti (Strobe Nazard, Arg Nution e Company Laser), e dalle mise un po’ meno (uno strano ibrido tra i caschi dei Daft Punk e gli scafandri dei Big Daddy in Bioshock).
Il loro primo live album, “Elektrac”, viene pubblicato nientemeno che da mamma Warp Records, quindi cerchiamo di capire insieme cosa aspettarci da questo lavoro.
“Cooper World” libera quanti energetici in quattro direzioni: una fusion-funk muscolare, scattante.
I break di batteria di “Don’t go Plastic” sono piacevolmente compromessi con le casse terzinate della bass music, e persino i rhodes non vengono spesi per sedare l’atmosfera, ma sono piegati a scatenare il maelstrom.
Una sosta in panca viene concessa all’ascolto su “Lambic 5 Poetry”, traccia che cavalca le vaste distese del trip-hop.
“Squarepusher Theme” impacchetta una sviolinata di phonky urbano bello danzereccio, e alla lunga è la traccia migliore, perché coinvolgente, incalzante e soprattutto, riascoltabile.
Letteralmente suicida invece il fraseggio di “E8 Boogie”, un tema in grado di rianimare i morti… anche se poi la struttura del brano rimane un grande interrogativo.
“Delta-V” salda il punk con il funk, mentre “Anstromm Feck” propone una specie di Kasbah di suoni inquinati: c’è tanto delirio acid-noise e qualcosina dei Chemical Brothers.
Sul finale però “Journey To Redham”, con uno strano piglio alla Planet Funk, stucca, stucca e ancora stucca.
Più indiavolati degli Snarky Puppy, meno progressive dei Dream Theater. Poi qualche idea “sottratta” ai vari Hancock, Zorn, Infected Mushroom, Now vs Now, Culprate.
Gli Shobaleader One con Elektrac si divertono ad introdurre un fraseggio, quindi a molestarlo ad libitum, per poi palleggiare con le voci degli strumenti e sviscerare le possibilità più ringhianti nascoste nel materiale.
Una baraonda eseguita con un’autentica precisione svizzera.
Ma si fatica a digerire i rimpalli, o meglio a capitalizzare il flusso dell’energia liberata, tanto che, con l’avanzare dell’album, il vigore del rigore tecnico tende a farsi barboso, marginale, cioè una metastasi o una muffa.
Sì, purtroppo “Elektrac” degli Shobaleader One soffre della sindrome di Werner, l’invecchiamento precoce, e non soltanto.
C’è uno squilibrio profondo fra le due parti dell’album, squilibrio che a tratti sembra sollevare la gonna ad un brutto vizio genetico: la mancanza di una consapevolezza artistica del progetto (tratto imperdonabile ad un veterano del calibro di Squarepusher).
Spassosamente arduo da suonare, così come da ascoltare. Peccato.
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