Una storia, quando è fatta bene, dovrebbe funzionare come un organismo. Allora lo spazio, i personaggi e gli oggetti coinvolti non valgono più per loro stessi, ma entrano a far parte di qualcosa di più grande, compiuto e sferico: ciò che sostengono assomiglia ad un essere vivente (Truby, 2007).
Un po’ come accade alla Circular Farm, un luogo dove ogni elemento, umano e naturale, entra a far parte consapevolmente di una totalità: il senso del vivente e della trasformazione sono di casa, e la circolarità diventa tangibile, udibile, edibile.
Termini oggi abusati come sostenibilità non suonano qui come formule e promesse vuote, ma trovano sempre una denotazione concreta; anche ciò che non si vede, rimane più nascosto e deve essere compreso, come i processi di trasformazione e i cicli naturali in vivo, riesce a venire alla luce grazie alle spiegazioni e le conoscenze condivise dallo staff della Circular.
Quando Antonio Di Giovanni mi ha chiamato per raccontare con un video breve il suo nuovo progetto, un’esperienza di full-immersion nella circolarità della fattoria, era sorta subito qualche criticità.
In primis la richiesta: condensare in una manciata di istanti tutto quello che avviene e si percepisce non è affatto facile. Bisogna fare delle scelte. E poi, soprattutto, perché non possiedo la formazione né l’attrezzatura di un videomaker professionista. Questo ultimo punto non è stato un problema, perché Antonio mi ha dato totale fiducia e lasciato carta bianca per realizzare il progetto.
Sono partito dal buttare giù uno script che valorizzasse l’aspetto sensoriale (tatto, vista, gusto, udito, olfatto), settasse un mood specifico (musica reggae/dub in tonalità maggiore), e mantenesse la logica del percorso esperienziale.
Dopo un paio di revisioni abbiamo cominciato a girare. Sul campo ci siamo resi conto che qualche idea funzionava, mentre altre intuizioni che funzionavano singolarmente finivano per disturbare il racconto, e così le abbiamo scartate…o ribaltate, trasformate. Del resto, Antonio è convinto di una cosa: che non esistono rifiuti ma risorse.
Sarà che la fattoria urbana della Circular Farm si trova davvero a due passi da dove abito. O che questa collaborazione è stata portata avanti con grande stima e rispetto reciproco. Oppure il morso finale ad un mush-burger, un panino che è il coronamento degli esperimenti circolari: insomma questo lavoro mi ha divertito molto, come non accadeva da tempo!
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