C’è tutta una scena internazionale che ibrida il sound design alla musica classica minimalista: nomi come Max Richter, Ólafur Arnalds, Jóhann Jóhannsson e Ryūichi Sakamoto.
Si tratta di un genere dal destino altrettanto ibrido: spesso nasce nell’accademia e approda al cinema, altrettanto spesso si libera totalmente dall’immagine per essere fruito come musica assoluta. Non di rado finisce per contaminarsi ancora di più, cercando di legarsi ad altri campi performativi, ad altri mondi visuali, come la danza, l’installazione artistica e più in generale l’arte contemporanea.
Forsaken, l’ultimo EP del musicista e compositore fiorentino Francesco Giubasso, si inserisce in questo solco. La sua musica è qualcosa di più che un commento all’immagine: prova a farsi spazio.
Uno spazio vastissimo. Intenso. Da esplorare alla luce delle sue composizioni.

Hidden memories scorre come un film di Nolan, pieno di mistero e labirinti: nelle sue texture ricorda certi brani dei Moderat o di Four Tet. Forsaken potrebbe fare da sfondo ai campi lunghi sui deserti di Arrakis nell’ultima trasposizione di Villeneuve; il tema ripetuto in coda crea un effetto molto forte, quasi una scommessa emotiva. Life sembra fondere l’estro di Zimmer insieme all’intensità drammatica di Ramin Djawadi, e lo fa nello scambio del tema tra pianoforte ed archi. Un brano che, come Sad Rainy Day, viene animato da una complessa orchestra di archi digitali.
Forsaken è un raggio luminoso che squarcia una boscaglia fitta e dimenticata. Un ricordo potente, custodito dentro un luogo segreto, ora liberato in tutta la sua carica emotiva. Durante l’ascolto vengono in mente ora un regista, ora un compositore, ora una scena ricca di pathos e azione.
L’EP racchiude al suo interno i lavori degli ultimi due anni trascorsi al Conservatorio di Rovigo, e coinvolge ricerche su certi modi di comporre, tecniche di sound design, esperimenti di registrazione con strumenti acustici e digitali. Il lavoro è stato pubblicato da un’etichetta discografica indipendente, la CFM (Contemporary Film Music), nata nell’ambiente del conservatorio.

Proprio la scuola di Rovigo e soprattutto Marco Biscarini, il suo insegnante di composizione, hanno permesso a Francesco di familiarizzare con il concetto di ‘oggetti sonori‘, cioè di oggetti da poter spostare e disporre nello spazio stereo.
La musica diventa architettura, le composizioni funzionano come spazi da arredare e abitare, ed è così che il mestiere del compositore e quello designer tendono a convergere.
Una conseguenza interessante di questo approccio è che certi parametri tradizionalmente di post-produzione, come l’uso della riverberazione, o il panning creativo, diventano il nucleo fondante dell’idea compositiva. Le note, il ritmo, la melodia e l’armonia arrivano quasi in un secondo tempo.
Ciò che conta è il movimento di oggetti. A farla da padrone sono il suono e la dinamica. Un’innovazione estetica, ma anche strumentale.
Alla regola aurea del riferimento al primo, secondo piano e sfondo nella composizione per quartetto d’archi si aggiungono le sconfinate possibilità espressivo-compositive offerte dalle DAW, i software che gestiscono la produzione musicale digitale (Logic, Ableton, ecc).
Sono ambienti virtuale dove registrare, gestire suoni e rumori ambientali. Equalizzarli, livellarli intonarli e renderli a loro volta nuove voci, nuovi strumenti (ho scritto qui sull’impatto delle DAW, del MIDI e dei sequencer non solo sulla musica, ma anche sui media, la società e la cultura del web).
L’obiettivo di Francesco Giubasso è quello di diffondere le sue composizioni attraverso il mezzo dell’espressione performativa, teatrale e cinematografica, ma anche di creare una musica che sia bella da ascoltare da sola, “stand-alone”. Obiettivo affatto semplice, perché i suoi brani nascono al servizio dell’opera principale, quale che sia il contenuto di riferimento.
Anni fa ho avuto il piacere di suonare insieme a Francesco, e so quanto il suo approccio alla musica sia tanto di esplorazione quanto di metodo. Sono sicuro che un giorno sentiremo i suoi brani comparire nella colonna sonora di qualche nome importante.
Riusciremo ad apprezzarli per la loro capacità di produrre emozioni, che sia in alleanza o in assenza di immagini. Come solo la buona musica sa fare.

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