Stiamo dando i numeri

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Stiamo dando i numeri, letteralmente.

Credo sia capitato a chiunque durante la pandemia di leggere tableau di tutti i colori sull’evoluzione del virus, e magari di lasciarci anche qualche riflessione: in primis, quanto immensamente dipendiamo dai dati.

O meglio, quanto dipendiamo dalla rappresentazione dei dati.

Tra le letture per la tesi, mi sono imbattuto nel saggio della Nussbaumer Knaflic sul data storytelling. La Knaflic, matematica di formazione, ricorda che i dati non parlano di per sé, perché *spoiler alert* nulla parla di per sé.

Suggerimento della Knaflic è quello che ricorda che certe scelte sbandierate come data-driven, spesso si fondano su un momento finale di rappresentazione dei dati.

Questo avviene perché l’analista o il ricercatore non si limita più “solo” a setacciare un letto di cifre che non si fermano mai, in cerca di qualche pepita d’oro, ma deve presentare i risultati ad un collettivo, metterli in una forma estetica.

Gli anatomisti nel XV secolo andavano a bussare le porte alle botteghe degli artisti, oggi gli analisti si trovano a dover schierare una batteria di istogrammi, torte e altre diavolerie da designer pitagorici per conquistare il proprio pubblico, con esiti poco felici e che portano una come la Knaflic a dover scrivere un libro “per liberare il mondo dalle brutte slide”, come un manuale di scrittura creativa per ingegneri.

Verità e Bellezza insomma è il trend dell’anno, da almeno il V secolo AC in poi. Oppure Bruttezza e Menzogna: sicuramente Comunità.

Mentre mi ci arrovello, la Knaflic argomenta con una naturalezza inquietante che a scuola ci hanno insegnato a contare per addomesticare le quantità, e scrivere per narrare: perché allora non fare tutto al contrario, usando le cifre per narrare?

Ma secondo voi, è possibile e corretto raccontare una storia con i numeri?

Quali sono le potenzialità? E quali i rischi?


Bibliografia

C. N. Knaflic, Storytelling with Data: Let’s Practice!, Wiley, New York, 2019.

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