I giochi olimpici mi hanno trasmesso da sempre un piacevole “pacchetto” di sensazioni, vuoi perché sono un grande evento estivo, da seguire più o meno distrattamente in viaggio. Vuoi perché, essendo vaste e varie, riescono facilmente a farti appassionare ad un nuovo sport, a farti scoprire un nuovo atleta.
Vuoi perché il tifo e la competitività avvengono nel contesto di una grande festa delle nazioni, in cui il particolarismo delle bandiere viene controbilanciato dal valore universale dello sport. O perché nei risultati sportivi, come in una lotta simbolica, si cerca di leggere i rapporti tra le potenze mondiali.
L’edizione dei giochi olimpici di Parigi 2024 sembra offrire sulla carta il bundle completo, con l’aggiunta di tenersi in una capitale europea facilmente raggiungibile (andare alle olimpiadi potrebbe non essere così semplice, anche in un mondo globalizzato come il nostro: altri continenti, fusi orari diversi, crisi internazionali).

Sono arrivato nella capitale francese qualche giorno prima dell’inizio dei giochi.
Sono giorni piuttosto nervosi: camionette corrono a sirene spiegate da una parte all’altra della città. Transenne e palchi in allestimento spuntano come funghi agli angoli delle strade, con gli organizzatori che sbraitano in giro per riuscire a finire i lavori in tempo per l’inaugurazione.
Con la massima tensione possibile si arriva alla Cerimonia di Apertura di Parigi 2024. Climax del primo atto. La città va un po’ in panne, saltano le corse degli autobus e le vecchiette si incazzano, decine di treni cancellati, ma tutto sommato Parigi regge.
Veniamo agli eventi. Abbiamo i biglietti per due partite di beach-volley: ottavi di finale del torneo femminile, Australia-Brasile e Svizzera- Spagna.
La metro fino a Trocadéro è stipata di gente, con buona pace alla claustrofobia. Molti i tifosi delle varie nazioni. La maggioranza, com’è ovvio, sono i supporter dei “bleus”, con le bandiere legate sulla schiena e il tricolore tatuato sulle guance.
Alla fermata si forma una colonna umana che viene gestita da una quantità impressionante di volontari olimpici. Quella dei volontari, insieme ai militari, costituisce forse la categoria istituzionale più grande presente ai giochi olimpici (JO).
Facilmente riconoscibili per un buffo cappello e la divisa sgargiante (a cui accennerò più avanti), i volontari sembrano una schiera di mimi messi in strada a fare cenni con le mani, per evitare che la gente vada in una direzione contraria al flusso. Una sorta di personale di terra dei JO di Parigi 2024.

Arriviamo finalmente allo stadio Eiffel, allestito per questa edizione dei giochi sul Campo di Marte, sotto la torre. Qui ha ufficialmente inizio l’atmosfera di grandeur.
Dentro l’area olimpica sono baracchini che vendono bevande, cibo e gadget ufficiali dei JO. Unico requisito: pagamento “subitaneo” con carta VISA, partner ufficiale ed esclusivo dei JO. Ben accetto altrimenti è il buon vecchio contante (primo indizio che avvicina i giochi olimpici ad una sagra internazionale).
Saliamo sugli spalti, la partita è iniziata da poco. Sotto il cielo terso di inizio agosto, con il profilo della torre all’angolo della visuale, lo stadio appare un tripudio di colori, bandiere e cappelli. Non è affatto uno stadio silenzioso: i quasi 13.000 spettatori trattengono il respiro durante i punti più combattuti, e poi scoppiano all’improvviso in grida ed ovazioni fragorose.
A guidare gli umori del pubblico è lui: il dee-jay/vocalist/animatore. Maglietta, cappello e occhiale nero. Si mette a saltare come un pazzo sulla sabbia del campo tra un break e l’altro, e fa partire il pezzo giusto al momento giusto. È lui il responsabile di questo clima da Riviera romagnola, lui e il suo collega: un impianto di casse enormi che circonda il perimetro del campo.
La partita è scandita da momenti topici, accompagnati da jingle ben noti al pubblico.
Il pubblico canta in coro “ace ace ace” appena una giocatrice spiazza l’avversaria con una battuta. Oppure “monster block, monster block”, quando una murata blocca l’iniziativa avversaria. O ancora, “Smash, smash, smash”, che sottolinea gioiosamente (e crudelmente per chi in campo il punto lo perde) l’efficacia di una schiacciata.
Oltre quello che accade in campo, sono gli stacchetti tra un break e l’altro a creare lo spettacolo: all’animatore si aggiunge anche un mimo che lancia un uovo in aria e lo riprende senza farlo rompere. Il che mi ricorda un uomo incontrato sulla spiaggia di Selinunte, in Sicilia, che voleva convincermi a scommettere soldi sul suo lancio di un uovo in aria, che, secondo lui, quando cade “non s’arrompe”.
Sarà lo stesso che vedo in campo adesso? Insomma, grandeur in salsa street food.
C’è spazio anche per gli effetti speciali digitali, con la comparsa in tempo reale della mascotte olimpica tra il pubblico sugli spalti.
Solo un problema: la mascotte olimpica è davvero tristissima. Phryge, questo mostriciattolo a metà strada tra una stella marina e una fiamma simpatica, che dovrebbe rappresentare il cappello frigio, non comunica nulla (Prezzemolo di Gardaland ha più personalità).

Ma ai JO di Parigi 2024 regna lo spettacolo, l’intrattenimento e la celebrazione. I JO sono celebrazione in primis della nazione che li ospita, la Francia. Ed oltre la grandezza, la pomposità e il nazionalismo salta all’occhio un altro attributo: la sincronia dei giochi.
Appena finisce la partita, mentre usciamo, piccoli assembramenti di persone sono riunite intorno ad un telefono, scuotono il braccio per dare sostegno. Urlano; “Allez, allez!”, o chissà quale incitazione nella propria lingua. Rivolto a chissà quale gara, o quale atleta. Un mistero.
Per le innumerevoli gare in svolgimento, questi giochi sembrano talmente vasti e tentacolari da creare un ibrido tra gioco e realtà, sostenuto dalla regina delle tecnologie immateriali: Internet.
Sarà solo grazie al digitale che diventa possibile seguire tutte le gare contemporaneamente? Oppure che, per via dell’ormai irrinunciabile connessione dati, regna sovrano il disordine e non si riesce a seguire proprio nulla?

Il giorno successivo ci aspettano gli sport urbani in Place de la Concorde: skate, Bmx, basket 3vs3 e break-dance. Sulla carta sembra promettere bene.
Peccato che superati i controlli scopriamo dai volontari che metà degli eventi si sono già tenuti. Quindi ci troviamo a girovagare senza meta nell’area olimpica di Place de la Concorde, sotto un sole aggressivo, nordafricano, che non smette di mordere la pelle fino all’ora di cena.
L’area si sviluppa ai piedi di tre stadi che circondano l’obelisco. Questo pinnacolo egizio sale verso il cielo insieme alle bandiere delle nazioni. Ci godiamo il grande momento di grandeur di Parigi 2024.
Poi approfitto del tempo morto per esplorare l’area olimpica. Qui c’è la sensazione di stare in una città altra, più colorata, più attraente, più “chiccosa“.
Niente senzatetto, niente sporcizia, niente noia, niente vecchiaia (anche le persone anziane sembrano tornate bambine). Invece tanti abbracci, tante bandiere (più le bandiere decorative delle feste di compleanno, o le ‘bandierine’ del gioco omonimo), tante ovazioni. Tanti applausi, livree e blasoni con queste grafichette rosa e azzurre, super catchy.
E quelle divise dei volontari, una rivisitazione blu turchese di un grande classico (stereotipico) della maglieria francese: la marinière. L’outfit più figo di tutti, perché sta ovunque ma non è in vendita. Per averlo devi essere un volontario dei JO. Dove si firma per arruolarsi?
Ai JO anche la moda gioca un ruolo importante.
Parigi è una città che notoriamente non ti vuole sciatto, e per questo la apprezzo e la detesto. La apprezzo perché ti spinge a prestare più attenzione al guardaroba, o perlomeno ad un livello più basic (il mio), ad avere riguardo almeno all’abbinamento dei colori. La detesto perché impone una regola non scritta, secondo cui girare per la città vestito da turista in viaggio è sempre possibile, ma deprecabile.
Appena il caldo ci dà tregua ci dirigiamo verso le Tuileries, dove si alza in volo ogni sera alle 22.00 la torcia olimpica.
La torcia viene sollevata in cielo da un pallone aerostatico, ma il braciere è in realtà vapore acqueo illuminato da luci LED: un trucco di magia a basso costo, “sostenibile”. Nel complesso dovrebbe restituire un’immagine rassicurante, invece non so perché mi ricorda la mongolfiera di Redon, quell’occhio inquietante che sale verso l’infinito.
Al Jardin des Tuileries siamo circondati da una folla di spettatori, volontari e militari, e come accade in questi casi, all’emozione del momento si accompagna una piccola scossa di brivido. La sensazione sgradevole che possa succedere qualcosa.
Non accade nulla per fortuna, se non un’ovazione generale, mentre la mongolfiera-torcia olimpica si solleva nel cielo di Parigi e centinaia di telefoni scattano in aria ad immortalare il bersaglio, come neanche nelle migliori gare di tiro al piattello.
Questi sono i JO di Parigi 2024: una celebrazione della Francia e della società occidentale, che si solleva impettita in cielo come questa torcia, e illumina la notte sopra le acque scure della Senna.
O almeno, così vorrebbero essere.
Più da vicino è facile cogliere anche la chiassosità di una grande sagra di paese, che cerca di nascondere i fumi degli arrosti dietro le leghe preziose delle medaglie.

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