L’incontro con un gigante

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La cima del Monte Bianco

Gibbosa, tondeggiante come una spalla senza pelle. Torreggia sopra altre vette, le escrescenze dei seracchi e un mare di nuvole. Ad indicarla si rischia di perdere una mano: il vento sferza tagliente portando con sé lamine di ghiaccio secco.

Pinnacoli di roccia salgono per centinaia di metri, la loro base si perde tra lingue ventose che lacerano le nubi: ecco i becchi delle Aiguilles, a puntellare un confine fatto di pietra, ghiaccio e cavi d’acciaio tesi ad altezze vertiginose

Sull’altro versante della veduta, una valle innevata si perde fino alle gengive alte del Dente del Gigante. Qui le sagome di alcuni alpinisti a spasso sul ghiacciaio diventano dei punticini immobili a seminare l’immensità, un semplice corredo del paesaggio. 

Paesaggio che non dà l’idea di appartenere al nostro pianeta, ma sembra piuttosto una finestra spalancata su di un’era remota, quando la terra era solo uno scontro di elementi e forze brute, e ospitare la vita non era una faccenda possibile.

Paesaggio che fa a malapena da sfondo alla mitragliata di selfie di due amiche milanesi in pelliccia, e non viene risparmiato neppure dalla mia fotocamera.

Complice lo spettacolo offerto dal Monte Bianco, da un gigante così vicino da sentirlo respirare, nessuno sembra rendersi conto: questo luogo che, come pochi altri si avvicina alle fattezze del divino, possiede una fragilità quasi di porcellana

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Siamo a gennaio in Val d’Aosta, ma le temperature diurne a valle suggeriscono l’arrivo di una primavera precoce (l’arrivo dell’Anticiclone Zeus conferma questa impressione).

Il giorno prima della Befana ha nevicato nella valle del Lys, a Champoluc, e a Courmayeur, tanto per ricordare alcune delle località sciistiche più frequentate.

Un evento così routinario da queste parti in questo periodo dell’anno è stato accolto come salvifico da sciatori e impresari. 

È vero che la Val d’Aosta, al contrario di quanto si potrebbe pensare, è una regione piuttosto arida: il volume di precipitazioni medio in questo luogo della terra equivale quasi quello di Istanbul, ci spiega una guida ambientale.

Tuttavia, l’inverno rimane il periodo dell’anno in cui le precipitazioni dovrebbero essere più concentrate. Dovrebbero essere

Gli effetti del cambiamento climatico non sono solo temperature che aumentano ma intere popolazioni di animali che diminuiscono, come sta accadendo agli stambecchi nel Parco Nazionale del Gran Paradiso

La guida ambientale ci spiega che questi animali non vanno in letargo, ma sopravvivono al freddo dell’inverno grazie alle riserve di grasso accumulate in estate.

Il problema è che l’aumento delle temperature costringe gli animali sia a diventare sempre più attivi di notte, e ad esporsi ai predatori notturni, sia salire sempre più in quota, dove il cibo scarseggia

Le riserve non sono più sufficienti per affrontare l’inverno, e a questo si aggiunge il fatto che gran parte delle energie sono dedicate alla ricerca della compagna nella stagione degli amori, che termina a dicembre.

Con il disgelo primaverile le carcasse dei maschi vengono spesso ritrovate dagli escursionisti sul fianco della montagna. 

Queste capre arrampicatrici e dall’aria poco intelligente, che pensiamo siano abituate a vivere in luoghi impervi senza aver bisogno di niente e nessuno, sono in realtà una specie fragilissima.

Come queste rocce candide, scure e assetate sotto la cima gibbosa del Monte Bianco.

Come la natura intera.

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