Quattro lezioni sulla scrittura

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Dovessi consigliare un manuale di scrittura da portare sotto l’ombrellone, suggerirei il libro di Marco Franzoso.

Perché non è un manuale. Perché esplora i punti ciechi dello scrivere, dell’atto di scrivere.

Ecco le azioni salienti, le quattro lezioni che traggo da Il grande libro della scrittura:

  1. Aspettare. Cioè investire tempo nel “cosa dire”. Bisogna prima vivere. Poi, avere la pazienza di preparare il lavoro, lasciando che un significato possa sedimentarsi dentro. Non (solo) creare trame, ma creare un senso.
  2. Dimenticare. Lasciarsi tutto alle spalle e mettersi sulla pagina. La scrittura come un assolo, una voce che va liberata dentro la pagina bianca. Nel vuoto, nel silenzio. È musica, pulsazione e ritmo. I tre atti: esposizione di un tema, sviluppo e chiusura. Anche Robert McKee ricorda come narrazione e musica siano sorelle, arti dinamiche che si muovono nel tempo.
  3. Percepire. La scrittura è percezione, un processo che parte dal corpo. Nel senso comune c’è un’idea dello scrivere come sfogo mentale personale e privato, quasi da cervello in una vasca, quando invece scrivere è “vita concentrata”, l’atto di un corpo senziente. La scrittura come percorso di apprendimento, una modificazione del proprio stato psicofisico che parte dal contatto con le storie e con le voci degli autori.
  4. Pensare. Il personaggio non è solo una funzione della vicenda, ma l’espressione di una visione dell’uomo. Cos’è l’uomo? Cosa io penso che sia un uomo? Prima nasce il personaggio poi la persona, e non il contrario.

L’antropologia, la filosofia e Jung ce lo hanno insegnato: adesso che ci mettiamo a scrivere teniamolo bene a mente.

Questo è quanto mi sento di tenere dopo settecento pagine di lettura (avventura?).

Pratico, avventuroso e filosofico: il “manuale” di Marco Franzoso è proprio così.


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